Come non fare un campagna sociale…
La campagna istituzionale all’italiana, ovvero quando la pezza è peggiore del buco.<
Le riflessioni di un’agenzia qualunque.
Si è letto e scritto di tutto, ed è difficile aggiungere altro. Anche volendo andare oltre il contenuto razzista (è pazzesco che nel 2016 le distinzioni tra buoni e cattivi si facciano sul colore della pelle!) non posso non soffermarmi sul guazzabuglio grafico che ci hanno propinato. Immagini stock acquistate per pochi euro, viste e riviste e di una banalità disarmante. Testo appoggiato sulle immagini senza un senso, senza equilibrio e senza una logica. I due blocchetti di testo (“le buone abitudini…”, “i cattivi compagni”) non son legati da nulla, colori diversi, posizioni non coerenti e messaggio del tutto slegato: nel primo si parla di abitudini, nel secondo di compagni, per giunta tra virgolette come a sottendere chissà cosa. La parte di testo istituzionale è posizionata in un punto forte, reso però debole dalla vuotezza in alto della pagina. Il logo del ministero è buttato lì, dove c’era spazio, senza un senso, mentre, se fosse stato messo in alto avrebbe avuto una dignità diversa ed equilibrato il messaggio in basso. Infine, l’effetto strappo sulla foto seppiata. Una photoshoppata, che impari a fare leggendo le riviste degli anni ’90 per nulla credibile, con sotto un’ombra pesantissima che lascia presupporre una potentissima illuminazione dall’alto che però crea ombre ma non riflessi. Qualsiasi studente del primo anno di grafica sa fare ombre migliori (e se non le sa fare sarebbe meglio che cambiasse indirizzo), anche utilizzando le funzioni automatiche di Photoshop. L’effetto strappo poi, si poteva ottenere semplicemente scannerizzando un foglio strappato per poi applicarlo alla foto utilizzando anche con le sole maschere di livello. Insomma, messaggio sbagliato e grafica completamente sballata, un lavoro che qualsiasi azienda privata avrebbe respinto o almeno non pagato. Invece, un ministero della Repubblica Italiana ce lo propina come pubblicità progresso e lo paga chissà quanto.
(Angelo Fragliasso)